La prima attività con i sensori di movimento, ossia con strumenti in grado di rilevare la posizione di un corpo in movimento, si propone come obiettivo quello di avvicinare gli studenti al concetto di funzione come variazione di una grandezza rispetto a un’altra (in questo caso come variazione della posizione nel tempo rispetto a un determinato sistema di riferimento la cui origine coincide con il sistema di rilevamento dati). In questa prima esperienza gli studenti hanno lavorato in gruppi di 5 componenti, il che ha creato qualche problema nella gestione del lavoro di gruppo.
Agli studenti inizialmente è stato accennato al fatto che lo strumento utilizzato (un CBR della Texas Instrument) invia onde sonore che vengono riflesse dagli ostacoli posti di fronte allo strumento stesso. Le onde sonore si propagano nell’aria a una velocità nota, pressoché costante, così è relativamente semplice, per lo strumento, misurare come varia distanza di un corpo in movimento rispetto al sensore, valutando il tempo trascorso tra l’emissione di un impulso e il ritorno al sensore dell’impulso riflesso. Non è stato esplicitamente detto che l’origine dell’asse delle distanze è posta sul sensore. Con queste informazioni si è chiesto agli studenti di:
muoversi rispetto al sensore | |
osservare i grafici tracciati dalla calcolatrice collegata al sensore e proiettati, in modo che tutti potessero vedere, su un muro dell’aula | |
cercare di spiegare perché i grafici avevano certe caratteristiche | |
prevedere il grafico relativo a un determinato movimento |
In seguito si sono fatti generare dalla calcolatrici grafici che gli studenti dovevano cercare di riprodurre muovendosi.
Un approccio di questo tipo a concetto di funzione come espressione della variazione nel tempo di una grandezza è fortemente dinamico: gli studenti hanno la possibilità di generare un grafico “spazio – tempo” attraverso il movimento del proprio corpo. Si può dire che il controllo del proprio movimento consente di generare determinati grafici, siano essi dati o siano essi pensati dallo studente. Inoltre la possibilità di proiettare i grafici generati dal movimento di uno studente sul muro dell’aula, consente a tutti gli altri studenti di vivere quasi in prima persona l’esperienza che sta coinvolgendo lo studente che si muove rispetto al sensore. Che osservare un’esperienza svolta da un proprio simile sia un po’ come effettuarla noi stessi è suggerito da alcuni studi che hanno rilevato la presenza di neuroni, detti neuroni mirror, che scaricano nella stessa maniera, sia quando un soggetto vede un'azione, sia quando la esegue. L'aspetto più interessante è che questi neuroni non scaricano se l'azione vista è compiuta da una macchina. Questo fatto induce a ipotizzare che la comprensione dell'azione dipenda da un meccanismo che mappa sullo stesso substrato neurale ciò che è osservato e ciò che è eseguito, purché ciò che è osservato sia eseguito da un essere simile a chi osserva (Gallese, 20012001, Azioni, rappresentazioni ed intersoggettività: dai neuroni mirror al sistema multiplo di condivisione, Sistemi Intelligenti, n.1, 77-102).
Secondo
quest'ipotesi la comprensione sarebbe basata sulla possibilità di stabilire
un'equivalenza motoria tra ciò che fanno gli altri e ciò che fa l'osservatore.
Ciò può costituire un significativo argomento a supporto delle posizioni
psicopedagogiche che attribuiscono particolare importanza all'interazione
sociale nel processo di acquisizione e costruzione della conoscenza.
La lezione è stata videoregistrata
e nella videoregistrazione si può notare che soprattutto la prima fase dell’attività è particolarmente interessante: gli studenti stanno cercando di impadronirsi della logica di funzionamento dello strumento. Essi osservano tratti di curve più o meno ripidi, in salita o in discesa, o a volte orizzontali (qualcuno parla di tratti “pianeggianti”). Nella seconda parte del video, si osservano due studenti, Erik e Irene, che cercano di interpretare un grafico che presenta un picco molto alto e stretto. Si può notare il riferimento all’immagine proiettata sul muro e la necessità di riprodurre la parte interessante di quell’immagine sul quaderno di Erik. La riproduzione viene accompagnata da gesti sia di Erik, sia di Irene che segnalano la ripidezza della curva. Più volte, poi, Irene traccia percorre con la matita la traccia della parte rapidamente crescente di curva, quasi a sottolineare la forte pendenza. Erik fa notare a Irene che tratti di curva molto ripidi sono caratterizzati dal percorrere una grande distanza (Erik: “ … è come se tu andassi a razzo …” e con le mani ripercorre velocemente il tratto di curva rapidamente crescente, già ripercorso più volte con la penna “un distacco notevole…”. Irene “ … in pochissimo tempo”. Poi Erik passa a considerazioni meno legate all’aspetto percettivo e fa vedere come si può valutare sul grafico sia la distanza percorsa, sia il tempo trascorso per percorrere quella distanza. Infine Irene ed Erik ritornano a prendere in considerazione il grafico proiettato sul muro, avendo probabilmente acquisito strumenti più raffinati per interpretarlo e spiegarlo (alcune parti dei video cui si fa riferimento possono essere viste collegandosi al sito http://didmat.dima.unige.it/miur/miur_dima/G/STORIA_DI_UNA_RICERCA/ANALISI_ATTIVIT.HTM)Nella parte di
video presa in considerazione, si può vedere che Irene ed Erik, con una piccola
eccezione determinata da un tentativo di intervento di Alessio, comunicano fra
loro e non con gli altri tre componenti del gruppo. Nei primi giorni, nei quali
gli studenti hanno lavorato in gruppi di 5 abbiamo sempre osservato problemi di
gestione delle dinamiche di gruppo, nel senso che i gruppi di 5 studenti
tendevano a suddividersi in sue sottogruppi, di tre e di due componenti. Questo
ci ha portato a modificare l’idea iniziale di far lavorare gli studenti in
gruppi di 5, dettata dal fatto che il numero di componenti avrebbe consentito
l’individuazione di diversi ruoli importanti per la gestione delle dinamiche
di gruppo. In seguito gli studenti hanno lavorato quasi sempre in gruppi di 3
componenti.